SALIAMO IN CATTEDRA
La crisi economica globale scoppiata nel 2008 è ben lungi dall’essere risolta. Le contraddizioni dell’attuale modello di sviluppo continuano a manifestarsi in maniera dirompente, e i governi europei, di fatto commissariati dalle élite finanziarie transnazionali, non sanno proporre soluzioni diverse dal salvataggio forzato di un modello fallito, basato sulle ricette neoliberiste e monetariste che hanno prodotto la crisi.
Il ripensamento globale che noi auspicavamo non c’è stato. Anzi, si ripropongono i dogmi della governabilità e del pareggio di bilancio. La funzione delle politiche economiche e sociali, oggi, tiene conto di fattori come il rating del debito e la fiducia dei mercati, mentre ignora completamente le questioni sociali, le necessità e i desideri degli uomini e delle donne.
Un’inversione di tendenza è necessaria, e non possiamo tirarci indietro. A 10 anni da Genova, sull’onda dei percorsi di contaminazione tra le mobilitazioni che abbiamo messo in campo negli scorsi mesi, proponiamo la costruzione di un nuovo fronte unitario dei movimenti sociali, che sappia rovesciare quella funzione e metterne in campo un’altra, che tenga dentro gli uomini e le donne, la giustizia sociale e il salvataggio del pianeta, il nostro presente e il nostro futuro.
Siamo consapevoli di non essere autosufficienti, ma riteniamo che le studentesse e gli studenti, che abitano gli ultimi luoghi collettivi rimasti in questa società frammentata e desertificata, debbano far partire la scintilla che incendia la prateria.
Per questo proponiamo alcune idee, alcuni contenuti di alternativa per la costruzione di questo fronte di movimento, alcune proposte in grado di attraversare le iniziative che sapremo mettere in campo nei prossimi mesi. All’unità nazionale dei poteri forti, che si ritiene autosufficiente e impermeabile a ciò che si muove nel sociale, rispondiamo rilanciando sul piano della mobilitazione e della proposta. Non potete ignorarci: ora fate i conti con noi.
La crisi economica è anche e soprattutto una crisi di democrazia, è il risultato dello spostamento dei processi decisionali lontano dai cittadini. Le politiche economiche e sociali sono ridotte a un compromesso tra le caste di privilegiati della finanza e i loro servi nella politica. Traditi e delusi da una classe dirigente corrotta e incapace, noi sfiduciamo il potere e rivendichiamo la riconquista della sovranità popolare, a ogni livello. Vogliamo una democrazia reale e partecipata, da costruire a partire dal potenziamento degli istituti di democrazia diretta. Dopo la riconquista del referendum, indebolito da anni, ora rivendichiamo che le leggi di iniziativa popolare siano obbligatoriamente discusse e votate dal parlamento. Niente può essere deciso senza il nostro voto: i contratti di lavoro, gli statuti delle università, la composizione del parlamento, così come la pianificazione produttiva e territoriale, che deve essere basata sulla partecipazione delle comunità.
Le risposte alla crisi messe finora in campo ripropongono le stesse dinamiche che l’hanno generata. Le scelte di politica economica e sociale vengono lasciate ai mercati finanziari e agli organismi internazionali che ne fanno da cinghia di trasmissione (FMI e BCE in primis), in modo che vengano socializzate le perdite e privatizzati i profitti. Il debito privato viene scaricato sui bilanci pubblici, per poi lanciare l’allarme default e favorire nuovi tagli al sociale, nuove deregulation, nuove privatizzazioni. La tendenza va invertita con alcune misure prioritarie, come la regolazione degli strumenti finanziari e la divisione tra banche d’investimento (che devono tornare sotto il controllo pubblico) e banche creditizie. L’uscita dalla crisi non può che passare attraverso la riconquista della sovranità economica e la costruzione di un’altra Europa, realmente democratica e partecipata. Per questo dobbiamo accelerare sulla strada della costruzione di un movimento internazionale contro il neoliberismo e per una democrazia reale.
La precarietà è la cifra identitaria della nostra generazione, il dispositivo attraverso il quale le nostre vite vengono messe al servizio del profitto in maniera massiccia e totalizzante. Il ricatto continuo e costante della perdita del lavoro livella verso il basso i diritti e le condizioni di lavoro e di vita di una parte sempre più ampia della popolazione. La globalizzazione neoliberista, permettendo ai capitali di circolare liberamente, produce una competizione al ribasso tra i lavoratori dei diversi paesi, alimentando la guerra tra poveri e estendendo il ricatto della precarietà anche al lavoro dipendente tradizionale. Questa vera e propria emergenza deve essere l’occasione di una ricomposizione sociale, attraverso una coalizione di uomini e donne, associazioni e movimenti, sindacati e reti, che ponga come obiettivi minimi l’abolizione di tutte le forme contrattuali atipiche che nascondono lavoro subordinato, l’estensione a tutti degli stessi diritti (malattia, maternità, pensione, ecc.) a prescindere dalla forma contrattuale, forme più avanzate di democrazia nei luoghi di lavoro, un nuovo welfare universale.
Un sistema di welfare ampio e inclusivo è il presupposto necessario per la costruzione di una nuova cittadinanza sociale. Per riconquistare la dignità del lavoro e l’autodeterminazione delle scelte individuali serve una massiccia opera di redistribuzione, in grado di invertire la tendenza alla divaricazione tra salari e profitti degli ultimi decenni. Rivendichiamo una forma di reddito di base, in forma diretta e indiretta, come misura in grado di contrastare l’esclusione sociale e il livellamento verso il basso di salari e diritti. Rilanciamo una battaglia di resistenza in difesa dei servizi pubblici, che vanno liberati dall’invadenza dei partiti e dei privati e consegnati al controllo democratico dal basso dei cittadini. Chiediamo provvedimenti radicali a sostegno del diritto all’abitare, con un forte ruolo del pubblico che sappia calmierare gli affitti e proporre alternative sociali al mercato.
La redistribuzione deve essere il tratto distintivo di una nuova politica economica. Respingiamo la retorica della crisi come carenza generale di risorse che richiede uguali sacrifici a tutti. I soldi ci sono, e ribaltare il dispositivo della crisi significa rivendicare la riappropriazione sociale dei profitti smisurati accumulati in questi anni. La lotta all’evasione fiscale, al sommerso e all’economia mafiosa e la tassazione dei grandi patrimoni, delle rendite finanziarie e delle transazioni internazionali sono i presupposti per una massiccia operazione redistributiva. Queste risorse, insieme a quelle provenienti dal taglio dei privilegi delle caste politiche e finanziarie, delle spese militari, dei finanziamenti a scuole e università private, delle grandi opere utili solo a chi le costruisce, permetterebbero la creazione di un fondo per il futuro, in grado di ricostruire l’economia su basi alternative.
L’emergenza climatica ed energetica rende non più rimandabile la costruzione di un nuovo modello di sviluppo basato sulla giustizia sociale e sulla sostenibilità ambientale. Rivendichiamo la riconversione ambientale dell’economia e il diritto delle popolazioni a scegliere cosa produrre e come produrlo. Al modello energivoro e distruttivo della circolazione globale delle merci, che necessita grandi opere inutili e dannose, contrapponiamo la logica del ciclo corto e della mobilità sostenibile. Rilanciamo la battaglia per la ripubblicizzazione dei beni comuni, per il loro controllo partecipato dal basso, per la democrazia energetica.
Un’inversione di tendenza globale non può che basarsi sul ruolo dei saperi all’interno della nostra società. Non possiamo più accettare un paese che muore e invecchia, non è possibile pensare e concretizzare le scelte radicali per il futuro che proponiamo senza l’immissione di una forte dose di saperi, di conoscenza, di innovazione ad ogni livello della società. E’ necessario sapere di più e sapere meglio, saper fare e saper cambiare. Le continue riforme di smantellamento dei sistemi pubblici di istruzione e ricerca e ai continui tagli ai finanziamenti abbassano drasticamente la qualità dei saperi e fanno salire vertiginosamente i costi dell’accesso. Difendiamo il valore legale del titolo di studio, ma non ci rassegniamo alla sua perdita di valore reale. Per questo rivendichiamo un cambio di prospettiva, con un grande piano di investimento sui saperi, sulla ricerca, sul diritto allo studio, che renda possibile un’Altrariforma della scuola e dell’università.
Partito Nazionale Precari Scuola