Appello all’ Illustrissimo Presidente, Onorevoli.
E’ forse cosa superflua spiegare che cosa sia il precariato in quella che oggi viene denominata “società liquida”. Ma che cosa questo rappresenti nel mondo della scuola, potrebbe essere cosa buona e giusta.
Precari lo siamo in tanti, da tanto. Per questo ci chiamano “storici”. Siamo coloro i quali da dieci o vent’anni servono lo Stato, lì dove è necessario e lo Stato si serve di noi. Siamo coloro i quali attendono la nomina da settembre a giugno, per pochi miseri denari, per poter “apparecchiare” quella che nel corso dell’anno scolastico sarà per i nostri studenti la “festa dell’imparare”. Tempo troppo breve ci viene concesso per poter verificare l’esito della nostra didattica. L’impietosa burocrazia, infatti, a giugno ci vuole fuori.
Tutto ciò a detrimento della continuità didattica e dell’apprendimento dei nostri ragazzi, privati di punti di riferimento culturali e metodologici. Che cos’altro sarebbe infatti la precarietà se non la negazione della continuità didattica e l’attuazione di itinerari formativi di lungo respiro? Ed ancora, in queste ore si annuncia l’ennesimo scempio perpetrato sul corpo più volte abusato ed estenuato dei precari della scuola pubblica: ovvero gli imminenti bandi concorsuali che vedranno coinvolti 60.000 docenti. Imminenti bandi, voluti scelleratamente… in spregio e sfregio, in questa delicatissima e dolorosissima contingenza storica, dei 16.000 morti causati dal coronavirus, dei tantissimi afflitti e della nostra Nazione che rischia di essere prostrata da una gravissima crisi economica.
Un’ingiustizia incommensurabile, a causa della quale un’intera classe docente da decenni votata all’insegnamento, rischia di essere esodata, di perdere improvvisamente quel reddito che assicura dignità ai lavoratori e alle loro famiglie, ed il cui destino sarà affidato alla sorte delle crocette a quiz, fondato su un insensato nozionismo. Una sconfitta, questa, non solamente per i non ammessi, ma per la scuola italiana che si priverebbe di un capitale umano sul quale lo Stato può e deve investire.
Converrà Ill.mo Presidente, Onorevole, che si tratta di un sistema di selezione paradossale. Come può una prova a quiz, verificare la preparazione, la professionalità e la passione di un insegnante già formato sul campo? Non sarebbe più equo e democratico stabilizzare i “veterani della scuola” così come vuole l’Europa che ci ammonisce di non abusare della reiterazione dei contratti a tempo determinato? (Direttiva europea 1999/70).
Non si pretende una sanatoria, solamente l’adempimento ad un principio di Giustizia nei confronti di chi per anni si è speso in favore dell’insegnamento, della scuola e della formazione di generazioni di studenti. E malgrado le “vessazioni istituzionali” commesse da una ministra dilettante e dissennata, e malgrado il colpevole e complice silenzio di larga parte dei sindacati che dovrebbero difenderci dall’ “oppressore istituzionale” e propugnare un ideale di Giustizia e malgrado il dolorosissimo momento storico che sta vivendo la nostra Italia, noi precari, in una stagione precaria, in ossequio al senso del dovere, per amore della loro crescita culturale e civile, ci prendiamo cura dei nostri studenti e ci inventiamo la “scuola dell’emergenza” e la “didattica dell’emergenza”, in un tempo sospeso che sospende la ritualità della scuola.
Confidando nella sua storia che la vede protagonista di tante battaglie in difesa delle voci più deboli di un grande politologo: “bisogna disabituarsi di concepire la cultura come sapere enciclopedico, in cui l’uomo non è visto se non sotto forma di recipiente da riempire e stivare di dati empirici, di fatti bruti e sconnessi che egli dovrà casellare nel suo cervello come nelle colonne di un dizionario per poter poi in ogni occasione rispondere ad i vari stimoli del mondo esterno. La cultura è una cosa ben diversa. E’ organizzazione, disciplina del proprio io interiore e conquista di coscienza superiore, per la quale si riesce a comprendere il proprio valore storico, la propria funzione nella vita, i propri diritti e i propri doveri”.
I precari storici della scuola italiana